Questo virus oltre a modificare diverse abitudini induce tutti noi a riflettere in modo critico. Il pensiero critico serve per creare nuovi schemi di adattamento e non per polemizzare gratuitamente. E’ vero che in tema di comportamenti conseguenti a pericoli o minacce non è possibile generalizzare, perché ciascuno di noi ha modalità adattive proprie; il pericolo è concettualizzato e gestito in maniera personalizzata. Tuttavia le diverse fasce di età di noi umani (infanzia, adolescenza, età adulta, anzianità) evidenziano competenze evolutive attese e ricorsive motivo per cui, conoscendole e analizzandole, possiamo quanto meno generare inedite strategie protettive e di stimolo sul piano delle politiche socio-sanitarie.  Abbiamo il dovere di farlo come genitori, adulti e professionisti. L’assunto che mi guida a scrivere questo articolo è che serve una tensione alta tra protezione e esplorazione nella vita, sapendo che tanto quanto dobbiamo imparare a difenderci dai pericoli (con il rischio di morire), altrettanto siamo ben consapevoli che senza esplorazione (intesa come allontanamento da una base di riferimento protettiva per conoscere il mondo) non riusciamo di fatto ad evolvere e la vita sarebbe ugualmente finita, esattamente tanto quanto essere uccisi da un virus. In questo senso stare troppo adesivi alla base ritenuta “protettiva” (per esempio, per dirla con parole semplici, stare sempre chiusi in casa) può produrre effetti estremamente negativi. Mi soffermerò in particolare sulla fascia d’età della prima adolescenza (dai 15 ai 20 anni) che per definizione contiene alcune delle maggiori spinte esplorative e conoscitive. Alla fine del mio pezzo si evincerà chiaramente che, considerando il contesto attuale, sono a favore di una maggiore propensione alla esplorazione, certo controllata, proponendo interventi di politica sociale ed educativi volti a favorirla. Mi propongo in questo modo di superare il paradigma per cui in momenti di crisi l’intervento di sostegno psicologico sul disagio conseguente appare come unica o prioritaria soluzione e proporrò di muoverci con azioni politiche ed educative finalizzate ad adattarci meglio alle caratteristiche dei giovani, anche grazie alle ricerche in ambito psicologico.  Citerò alcuni dati e mi rifarò ad alcuni riferimenti etologici e psicologici di John Bowlby e altri autori. La trama del pezzo è riassumibile nei seguenti punti:

  • Dati sulle conseguenze psicologico-cliniche immediate e a breve termine
  • Conseguenze specifiche sui giovani;
  • Dati inerenti i contagi nella scuola;
  • Le competenze evolutive attese durante l’adolescenza;
  • Deduzioni e suggerimenti.

Dati sulle conseguenze psicologico-cliniche immediate e a breve termine Non che si abbia bisogno di tanti dati in questo momento per sottolineare la gravità della situazione psicologico-clinica conseguente a questa crisi sanitaria, ma per non essere troppo opinabili ne citerò alcuni. L’11 maggio 2020 sulla rivista World Psichiatry, il direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità Tedros Adhanon Ghebreyesus sottolinea come la pandemia da coronavirus stia facendo crescere in modo significativo, in tutto il mondo, il disagio mentale. Si citano alcune ricerche (Di Cugno,  2020) in cui si evidenziano significativi aumenti di disturbi da stress. Secondo un’indagine condotta in Italia dall’istituto Mario Negri[1], lo stress che la pandemia da Covid-19 ha generato nella popolazione, è principalmente legato alla preoccupazione per la propria salute, alla percezione di non poter proteggere sé stessi e i propri cari, all’isolamento sociale, imposto dal confinamento, e ai timori legati all’immobilismo dell’economia. Terminato il periodo di isolamento si assiste ad un aumento d’incidenza nella popolazione di sintomi quali: ansia, disturbi del sonno, ricordi ricorrenti del trauma, somatizzazioni e depressione, tipici del disturbo da stress post traumatico. “Un disturbo, quest’ultimo, che non si realizza, dal punto di vista clinico, contestualmente al trauma ma necessita di tempo per costruirsi. Si tratta di una patologia che si basa sulla memoria e sulle personali risorse di ciascun individuo, perciò i suoi effetti possono manifestarsi successivamente al vissuto traumatico” (Occhi S., Albiol LM, Cicognani E.,2007; Castrucci, 2020).[2]

Conseguenze specifiche sui giovani Soffermandosi sulle persone di giovane età, in particolare sulla prima adolescenza, un gruppo di medici e ricercatori di Bologna[3] (novembre 2020) si è fatto promotore di un messaggio in seguito ad alcuni dati raccolti: “La risposta alla crescita dei contagi non può essere la chiusura delle scuole. Come tutti i dati regionali confermano, le scuole non rappresentano significativi hotspot dei contagi” (Stefano Zona, specialista in malattie infettive dell’Ausl di Modena). “In uno studio nazionale effettuato durante il primo lockdown su 2064 adolescenti di età compresa tra 11 e 19 anni abbiamo dimostrato che il 58,5 % dichiarava una sensazione di tristezza, che si associava a crisi di pianto e ad agitazione (48%) come conseguenza della chiusura delle scuole. Il 52,4 % riferiva disturbi alimentari e il 44,3% disturbi del sonno”.  Non si vuole affermare con questi dati che i giovani siano alieni e contrari all’utilizzo della tecnologia per fare scuola! Mauro Tuzzolino, coordinatore del progetto e autore de I giovani e la crisi del Covid-19. Prove di ascolto diretto dice a “La Repubblica”[4]: “Abbiamo scoperto una generazione molto diversa dallo stereotipo che generalmente le si affibbia”. Da una raccolta ragionata di dati alla quale hanno prestato il proprio contribuito 567 giovani di tutta Italia, (si è svolta dal 18 aprile al 5 maggio) “si evince una grande capacità di adattamento della comunità educante che ha dimostrato di reagire a un avvenimento traumatico come la pandemia ricorrendo alla didattica a distanza”.[5] ‘Dall’inchiesta emerge un giudizio abbastanza positivo da parte della maggioranza degli intervistati: il 44% la valuta ottima o buona, il 35% si attesta su un giudizio medio (sufficiente), il 21% attribuisce un giudizio negativo alla sua personale esperienza. Il dato è leggermente più solido nella fascia di età 24-35 anni nella quale c’è ovviamente una maggiore abitudine allo studio autonomo e alla distanza dal docente. ll Nord e il Centro Italia esprimono giudizi decisamente più positivi del Sud, legati anche al fatto – rileva l’autore – che la connessione a Internet da quelle parti è sicuramente più complicata: “All’universo di coloro che hanno dato un giudizio negativo della didattica a distanza – scrive Tuzzolino – abbiamo chiesto di indicarci le motivazioni: il 39% lo attribuisce all’assenza di relazione umana, il 32% a una scarsa predisposizione dei docenti all’utilizzo di queste nuove modalità, il 19% a problemi di connessione, l’8% a tecnologia inadeguata”. Per il 64% degli studenti, comunque, la didattica a distanza è solo un modo temporaneo per sostituire la didattica tradizionale, cioè soltanto una risposta all’emergenza. “Il momento di criticità ha spinto i ragazzi a serrare le fila – spiega l’autore – ma lo studio ribadisce la domanda di scuola da parte dei giovani. Paradossalmente grazie alla pandemia i nostri studenti hanno riscoperto il valore della scuola come luogo comunitario. E hanno riconosciuto il ruolo di mediazione, spesso trascurato, del docente”.

Abbiamo dei dati sui contagi a scuola? La Ministra alla Pubblica Istruzione Lucia Azzolina, ben consapevole delle conseguenze negative che la chiusura della scuola provoca sui ragazzi, sta chiedendo dati certi sui contagi nelle scuole all’Istituto Superiore di Sanità, memore del fatto che fino a metà ottobre i dati fino ad allora raccolta dimostravano come la scuola fosse un luogo “più sicuro” dal punto di vista dei contagi che non altri luoghi comunitari. Alla data del 10 ottobre Il Ministero dell’Istruzione comunicava che gli studenti contagiati erano lo 0,08% (5.793 casi di positività), per il personale docente la percentuale saliva allo 0,133% del totale (1.020 casi), per il personale non docente si parlava invece dello 0,139% (283 casi).[6] Un’analisi condotta da Enrico Bucci e Antonella Viola del Patto Trasversale per la Scienza indica che le scuole non rappresentano un «moltiplicatore di infezioni» ma «non sono più protette del resto della comunità e il tasso di infezione scolastica appare seguire quello della comunità circostante». «Al momento non esistono motivi per evocare la chiusura delle scuole più di quanto non ve ne siano per un lockdown dell’intera società» ma è «urgente intervenire su regole e procedure»[7]. Infine cito un articolo di Drago e Reiclin[8] tratto da FLC CGIL e un passaggio in particolare: “La riduzione del contagio dipende dal contesto in cui le scuole vengono riaperte (ad esempio dai protocolli e dal trasporto pubblico locale associato all’attività scolastica), da come e dove trascorrono il loro tempo gli studenti colpiti dai provvedimenti di chiusura e dal tipo di scuola (primaria o secondaria). In alcuni casi, come in quello tedesco, la riapertura sembra addirittura aver ridotto il contagio nella fascia di popolazione più giovane, lasciandolo invariato nella popolazione più adulta. Come anche alcuni autorevoli medici accademici hanno sottolineato su queste colonne (Remuzzi e Villani), in presenza di rigidi protocolli, la propagazione del contagio a scuola è limitata”.

Le competenze evolutive attese durante l’adolescenza Crittenden e Landini con le loro ricerche sull’attaccamento e sull’adattamento, interessanti evoluzioni dei precedenti lavori di John Bowlby e Mary Ainsworth, ci illustrano quanto debba essere integrata una tensione costante tra protezione e adattamento. Integrando le ricerche di Jean Piaget ci ricordano che nell’adolescenza assistiamo ad inediti compiti evolutivi, cioè obiettivi esperienziali che nel tempo si “dovrebbero” trasformare in competenze, anche grazie alla maturazione mentale in divenire[9]:  

1. Integrare attaccamento e sessualità. Nel momento in cui ci si esplora con l’altro da                                                              sé le competenze precedentemente acquisite nelle relazioni con le proprie
figure di attaccamento si modificano, si affinano, diventano finalizzate alla
ricerca di nuove relazioni sentimentali e sessuali. 

2. Costruire metamodelli gerarchici di relazioni multiple. La gruppalità, i sottogruppi,                                                            la scelta dell’amico/a in base ad interessi comuni, la leadership, le proposte
di muoversi e vivere la città (conoscendola nei suoi luoghi fino a poco prima
non conosciuti) diventano gli argomenti di maggior confronto all’interno delle
compagnie dei nuovi amici;

3. Discriminare le strategie altrui. I ragazzi e le ragazze cominciano a conoscere modi di                                                          relazionarsi, di risolvere problemi, di proteggersi dai pericoli, in
sostanziale autonomia, lontani spesso dai propri genitori e confrontandosi tra
di loro, mettendo le basi per riuscire un giorno, da grandi, a risolvere problemi.

E’ esattamente qui che assistiamo agli “errori” dei giovani, senza i quali non sarebbe possibile per loro comprendere il funzionamento dell’adattamento (gli errori possono essere, per dirla con parole povere: fumare qualche canna di troppo, rischiare di andare in coma etilico al primo shottino, addormentarsi a casa dell’amico alle 2 di notte senza avvisare i genitori, rischiare di essere sospesi se si accumulano troppe assenze a scuola, arrabbiarsi con un adulto mandandolo a quel paese, prendere un pugno da un coetaneo, parlare male di un’amica con un’altra amica generando dissapori…).  Grazie a queste esperienze gruppali, maturazioni, nonchè grazie a questi errori, si comincia così a distinguere il piano di realtà da ciò che può essere fantasticato come scenario solo possibile, senza per forza doverlo sperimentare nella realtà e gettando le basi per alimentare le trasformazioni mentali tipiche di questa fase di vita: La causazione degli eventi comincia ad essere compresa come multipla (cioè più fattori possono concorrere all’esito di un evento); Il sé rimane stabile nonostante i tanti cambiamenti esperienziali circostanti; Si fa strada progressivamente il ragionamento astratto, nuova veste delle precedenti maturazioni cognitive tipiche del ragionamento ipotetico-deduttivo.

Infine anche grazie a queste esperienze relazionali e sociali il cervello del giovane apprende a regolare le emozioni (con una concomitante maturazione della corteccia orbitofrontale mediale) e a decidere (con una concomitante maturazione della corteccia orbitofrontale laterale).

Deduzioni e suggerimenti

QUINDI:

  • Con il lockdown totale (scolastico, sociale e sportivo) i ragazzi evidenziano disturbi e sofferenze psicologico-cliniche
    importanti!
  • La Didattica a Distanza è un buon metodo di mediazione dei saperi, ma non può essere l’unico;
  • Senza le esperienze relazionali e sociali le capacità adattive dei giovani non si affinano!
  • Senza le esperienze relazionali e sociali le capacità di costruire relazioni sentimentali e sessuali diminuiscono
    drasticamente!
  • Senza le esperienze relazionali e sociali il cervello non riesce a maturare adeguatamente!

Come è possibile, dunque, come adulti ed educatori, consentire ai  ragazzi di 15-20 anni di poter avere tali esperienze e maturazioni pure in un contesto di crisi sanitaria (certamente pericolosa) come quello attuale?

La prima risposta, più ovvia, è che la chiusura totale intesa come strategia di protezione si rivela, di fatto, malamente protettiva per questa fascia di età. La seconda risposta, meno ovvia, è compresa in uno sforzo a processare inedite soluzioni, più funzionali di quelle fino ad ora previste. Ricordiamoci che se i compiti evolutivi dei giovani adolescenti sono quelli sopra esposti, tra i compiti evolutivi degli adulti se ne cita uno tra i tanti: saper risolvere problemi. Ne propongo alcune sotto forma di domande, forse provocatorie (o forse no).

Si potrebbe ipotizzare una scuola superiore per

  • i 15-19enni organizzata differentemente da quella “tradizionale”? Per esempio
    una scuola che preveda che mezza classe vada a scuola al mattino e mezza classe
    al pomeriggio?
  • Si potrebbero prevedere spazi e tempistiche
    inediti dei luoghi adibiti allo sport pomeridiano per esempio organizzando attività
    sportive al mattino e al pomeriggio quando, alternativamente, i ragazzi vanno a
    scuola al mattino e al pomeriggio?
  • Si potrebbero prevedere momenti aggregativi
    per i giovani filtrati da controlli sanitari ad hoc (per esempio momenti
    aggregativi settimanali per piccoli gruppi di soggetti laddove gli stessi siano
    sottoposti a tampone poco prima?)
  • Si potrebbero prevedere piccoli gruppi di
    frequenza scolastica presso case di famiglie che siano state sottoposte a
    controlli sanitari?  
  • E possibile prevedere luoghi di aggregazione filtrata
    aprendo alternativamente locali per piccoli gruppi di giovani, con i dovuti controlli
    sanitari?
  • È possibile prevedere che i luoghi dell’arte e
    della cultura (cinema, teatri, musei) siano resi accessibili ai soli giovani di
    questa fascia di età attivando i dovuti controlli?
  • E’ possibile prevedere concerti musicali per
    piccoli gruppi di giovani, sempre con i dovuti controlli?

Su alcune di tali opzioni già ci si è sperimentati in alcuni contesti territoriali. Su altre possono emergere dubbi circa la fattibilità. Ma la questione resta la medesima: gli adulti tutti nei rispettivi ruoli sociali devono generare idee e proposte che consentano ai cittadini nelle loro distinte fasce di età e nel rispetto dei loro bisogni e competenze evolutive attese, di potersi adattare a situazioni di pericolo come quello esistente. Da una crisi con la conseguente paura anche della morte, attraverso il nostro sapere che abbiamo accumulato negli anni, si possono e si devono generare nuovi scenari adattivi.  


Verter Pregreffi


[1] https://www.marionegri.it/tag/coronavirus [2] Riferimenti https://www.stateofmind.it/2020/11/covid19-ptsd-fake-news/ [3] https://www.bolognatoday.it/cronaca/appello-medici-lockdown-covid-scuole.html [4]https://www.repubblica.it/cronaca/2020/09/12/news/i_giovani_e_la_crisi_del_covid_19_siamo_smarriti_l_uomo_deve_cambiare_rotta_bene_dal_didattica_a_distanza_ma_solo_nell_-266992290/ [5] “I giovani e la crisi del covid-19” a cura di Mauro Tuzzolino, e-book, Arkadia Editore, settembre 2020 [6] https://www.miur.gov.it/web/guest/-/scuola-i-dati-di-positivita-al-covid-19-al-10-ottobre-2020 [7] https://www.pattoperlascienza.it/2020/10/24/covid-le-scuole-non-moltiplicano-le-infezioni/ [8] http://www.flcgil.it/rassegna-stampa/nazionale/la-scuola-tradita.flc [9] Crittenden, P. M., Dallos, R., Landini, A, & Kozlowska, K. (2014).Attachment and family therapy.
London: Open University Press.